Il culto di Iside nel Sannio

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Nel primo secolo dopo Cristo scoppiò all’improvviso il culto delle divinità egizie che l’imperatore Tito Flavio Domiziano (romano, 51-96 d.C., che si era autoproclamato dominus et deus, signore e divinità) volle imporre soprattutto per emarginare quei cittadini (ebrei e cristiani) che ostentavano senza alcun timore il loro monoteismo. In questa fase veniva eretto a Benevento, negli anni 88-89 d.C., un santuario dedicato a Iside, e ciò introduceva un evento assolutamente originale per la gente  del Sannio che praticava in massima parte culti pagani diversi da quelli romani. La novità faceva accorrere dall’intera regione folti gruppi di pellegrini che visitavano questo tempio, straordinario per magnificenza e originale per offerta religiosa. Ciò non comportava adesione ai riti ma spirito di curiosità. Il culto isiaco si era insediato da tempo in vari punti di Roma, pur tra mille opposizioni, culminati nel bando del Senato che nel 64 a.C. ne aveva proibito l’esercizio pubblico in città: probabilmente per tale motivo gli interessi dei seguaci dovettero spostarsi altrove come documentano le collezioni del Museo archeologico di Fiesole per l’area toscana e del Museo nazionale di Napoli per le scoperte di Pompei. Ovunque la figura della divinità egizia appariva quasi una versione esotica di alcune venerate espressioni della tradizione pagana quali Cibele simbolo di fecondità, Era-Giunone protettrice della maternità, Demetra-Cerere madre della terra e Afrodite-Venere dea dell’amore.

 

Il complesso religioso della Iside sannita fa tuttavia storia a sé, in quanto esso ci prospetta in modo organico “la testimonianza più omogenea esistente su suolo italiano”[1]. In primo luogo per la denominazione prescelta a contraddistinguere questa divinità: “Signora di Benevento”. In seconda istanza per la fattura dei reperti: pezzi originali, realizzati lungo il Nilo e non preparati in loco. Terzo punto, la lontananza dai porti di sbarco (Brindisi, Taranto, Taranto, Ostia) solitamente utilizzati per le merci provenienti dai paesi dell’Asia e dell’Africa che si affacciano sul Mediterraneo.

L’insediamento del culto al centro della penisola non deve meravigliare, considerata l’ubicazione della città intersecata da grandi vie di comunicazione e popolata da stranieri di ogni paese il cui danaro, evidentemente, era servito anche ad erigere questo monumento sacro. Così oggi, accanto ai reperti romani e nilotici, i ritrovamenti di Benevento esprimono un prezioso unicum di storia archeologica, senza dubbio il più consistente ed organico apparato di manufatti egizi scoperti in Europa[2].

E ciò si deve soprattutto al culto praticato nel tempio (peraltro, non grande) dedicato alla sposa di Osiride e alla madre di Horus, la dea Iside per l’appunto. Antico era tale culto ma poi venne rilanciato,o meglio imposto nel terzo secolo dopo Cristo, esclusivamente a fini politici dall’imperatore Diocleziano (nato in Dalmazia, imperatore tra il 284 e il 305, scomparso a Spalato) con due finalità: sviare la gente dai miti religiosi del passato che distraevano dalla sua identificazione in quanto essere superiore e divinità visibile; sviluppare l’assoluta devozione verso un simulacro che doveva raffigurare il detentore del potere militare e dell’intera amministrazione pubblica[3].

Dove si trovava il santuario di Iside? Difficile stabilirlo con certezza, ma il reperimento della maggior parte dei manufatti nell’area orientale della città, a ridosso delle mura longobarde tra il convento di S. Agostino e i giardini del palazzo del marchese de Simone, fanno ritenere questo sito come la più probabile collocazione, nonostante la presenza di reperti anche in altri luoghi come via Gaetano Rummo, piazza cardinale Bartolomeo Pacca e piazza Duomo, probabile incrocio tra le vie Appia e Latina. Qualcuno adombra proprio quest’ultimo sito come base del santuario e collega la dedicazione alla Vergine, Santa Maria Maggiore, alla consuetudine di sovrapporre la nuova simbologia cristiana alle antiche intitolazioni pagane: ipotesi che tuttavia contrasta con la mole delle opere venute alla luce dai terreni nei pressi di Port’Aurea e della Via Traiana nel 1903 e successivamente[4]: una coppia di obelischi, 21 sculture di cui alcune mutili, quattro statue, tre frammenti di bassorilievi, quattro opere marmoree (una Iside in trono e quattro sfingi)[5]. Per la ricostruzione esteriore del santuario isiaco – sostiene il Müller – occorre pensare ad un assetto di tipo ellenistico ricorrendo a precedenti modelli realizzati a Delo e a Pompei, con il conforto di alcune pitture murali scoperte a Ercolano[6]. Il tempio era certamente assai frequentato benché fosse non appariscente, di medie dimensioni, con la cella per la dea elevata su un podio al quale si accedeva tramite una breve scalinata all’aperto; dietro e a fianco della cella principale esistevano altri locali coperti per divinità minori e per gli addetti al tempio, sacerdoti e donne cerimoniere. Sul fronte esterno un viale delimitato da alberi e statue offriva una visione prospettica di forte impatto. Il tutto doveva estendersi, più o meno, dall’asse centrale urbano verso oriente laddove oggi insiste l’ex-chiesa di S. Agostino. Il ritrovamento di statue e oggetti lapidei di notevoli dimensioni sul versante delle mura longobarde si spiega facilmente con l’usura dei secoli e con il ricorso delle generazioni successive ad utilizzare il prezioso materiale (che giaceva disseminato tra i terreni, squassati da terremoti e lotte) quale rinforzo alla difesa esterna.

Va comunque segnalato che, in base a specifici studi, non esisteva soltanto il santuario di Iside: Benevento possedeva altri due siti di religione egizia, il tempio di Iside Pelagia cioè protettrice dei naviganti (molto strano per una località lontana dai mari) e il sacrario di Osiride-Canopo: il primo stava nei pressi del teatro Romano, il secondo nei pressi delle mura che si stagliavano sopra i Mulini.

Una particolare rilevanza storica e artistica è offerto dall’Obelisco, attualmente posizionato in pieno centro città, sulla piazza Papiniano. Esso fu collocato nel 1597 davanti al Duomo e colà rimase fino al 1869 ma il suo cuspide (per tale ragione non può essere stato trovato nei pressi della cattedrale) fu scoperto nei giardini De Simone e congiunto all’intera ricostruzione soltanto nel 1893. Realizzato in granito rosa, pesa circa 2 tonnellate e mezzo, è alto circa tre metri similmente all’elemento gemello della coppia (a lungo conservata in vari pezzi nel Palazzo arcivescovile e poi trasferita nel Museo del Sannio) e conserva geroglifici perfettamente leggibili sulle quattro facciate[7]. Queste sono le traduzioni: 1- Horus il giovane che conquista con potenza, Horus ricco di anni e forte in vittorie, re dell’Alto e del basso Egitto, Autocrate Cesare, figlio di re, Domiziano, che viva eternamente, portato dal regno e dalle terre straniere dei nemici alla sua residenza, la capitale Roma. 2- La grande Iside, madre di dio, Sochis, signora delle stelle e signora del cielo, della terra e del mondo sotterraneo. Innalzò un obelisco di granito per (lei) e per gli dei della sua città di Benevento, per la salvezza e per il ritorno in patria del Signore dei Due Paesi, Domiziano, che viva eternamente. Il suo bel nome Lucilio ... che gli venga data una lunga vita con gioia. 3- Nell’anno ottavo sotto la maestà del forte toro re dell’Alto e Basso Egitto, signore di due paesi, figlio del signore della vita, amato da tutti gli dei, figlio di re, Domiziano, che viva eternamente. Uno splendido palazzo venne costruito per la grande Iside, signora di Benevento, e per le divinità paredre[8]. Un obelisco di granito venne eretto da Lucilio... per la salvezza e prosperità del signore dei due Paesi. 4- La grande Iside, madre degli dei, occhio del sole, signora del cielo e signora di tutti gli dei. Questo monumento fece (egli) a lei e agli dei della sua città di Benevento per la salvezza e per il ritorno in patria del figlio di re, signore delle corone, Domiziano, che viva eternamente. Il suo nome Lucilio... gli venga data gioia, salvezza, salute[9].

Diversa è la vicenda del ritrovamento del cosiddetto Bue Apis, che attualmente si trova in prospettiva della Basilica delle Grazie, all’imbocco del suo viale di accesso intitolato a S. Lorenzo, affidato alla pietà dei cittadini ma certamente non difeso dalle naturali intemperie e soprattutto dai vandali operanti senza tregua in questo tempo. Per il volgo è definito ‘a bufara, vale a dire viene scambiata con una vacca o bufala, forse per colpa di una malintesa lettura della sottostante epigrafe[10]. L’opera, in granito roseo ma alquanto rozza, fu casualmente scoperta nel 1629 in località Maccabei oltre il fiume Sabato sulla strada di Avellino e si decise allora di farne ornamento della Porta di San Lorenzo[11]. Secondo lo storico Enrico Isernia[12] l’identificazione del reperto con la divinità egizia Apis fu suggerita dal francese Émile Étienne Guimet, industriale e collezionista di cose orientali più che studioso di archeologia, e poi venne accettata anche da Almerico Meomartini[13], ma il Müller osserva che mancano i caratteri distintivi del dio come il disco solare tra le corna, l’indicazione del sesso (non visibile per via dell’unico blocco marmoreo) e le gambe in movimento (mentre qui appaiono statiche)[14].

A margine di quanto detto sul culto isiaco occorre dire che a Benevento esiste anche un altro obelisco ma si tratta di opera moderna: parliamo del monumento, poggiato su quattro leoni, che adorna la fontana in piazza S. Sofia e che ha subito nel tempo numerosi interventi e alterazioni[15]

Concludendo dobbiamo riconoscere la validità del giudizio sostenuto da un attento studioso di casa nostra, Vito Antonio Sirago, il quale ha scritto che di questa infatuazione religiosa "si sarebbe perduta perfino la memoria se non si fossero salvati gli obelischi con le loro iscrizioni e se non fosse riscoperto il significato dei geroglifici" [16]. Anche per tale ragione, oggi, Benevento e il Sannio possono ribadire la loro antica radice formativa puntando in avanti con il decoro che un popolo assume quando possiede dietro le proprie spalle un solidità culturale che si fonda sul piano storico.  

 

 

 

 

[1] Hans Wolfgang Müller, Il culto di Iside nell’antica Benevento, pag. 9, Biblioteca e Archivio storici di Benevento, Officina grafica Abete, Benevento 1971.

2 Tra i cultori di antichità egizie va ricordato in primo luogo il cardinale Stefano Borgia (1731-1894) che fu governatore di Benevento nel 1759. La sua raccolta di reperti fu amplissima ed onorò il Museo che egli aveva allestito nella natia Velletri prima di passare in altre sedi tra cui il Museo di Propaganda Fide, il Museo etnologico Lateranense e la Biblioteca Vaticana. Va specificato che non vi confluirono reperti beneventani (dato che risale alla fine del Settecento e ai primi dell’Ottocento) ma possedeva pezzi originali provenienti della valle del Nilo: Caterina Cozzolino, Antichità egizie nella Collezione Borgia. Curiosità e tesori da ogni parte del mondo, Electa editrice, Napoli 2001.

3 “La tradizione delle divinità greche e romane, del resto, stava decadendo mentre i nuovi messaggi religiosi destavano una forte attrazione, in particolare l’esoterismo emanato dalla triade Iside-Osiride-Horus”: Giacomo de Antonellis, Per una storia religiosa del Sannio, pag. 29, Istituto superiore di scienze religiose “Redemptor hominis”, Solfanelli editore, Chieti  2009.

In proposito, assai dettagliate sono le schede inserite in Müller, op. cit., pagg. 43-105.

5 Questo straordinario patrimonio appartiene alle collezioni del Museo del Sannio che in gran parte dei casi li ha affidati alla cooperativa Arcos per un’esposizione permanente allestita nei sotterranei del Palazzo del Governo. Non mancano, tuttavia, cimeli (tipo spezzoni di colonne) inseriti da tempo immemorabile in alcuni palazzi nobiliari. E incastri di marmi isiaci sono visibili persino sul portale della Cattedrale (come documenta Ferdinando Grassi nel suo interessante saggio Sancta Maria de Episcopio, Tipografia Auxiliatrix, Benevento 1975) e sul rivestimento della Rocca dei Rettori (segnalazione dello studioso Giovanni De Noia).

6  Müller, op. cit., pag. 29. Questi affreschi si trovano nel Museo archeologico nazionale di Napoli.

7 L’interpretazione più accettata si deve all’egittologo tedesco Adolf Erman, che elaborò i testi a fine Ottocento (Obelisken römischer Zeit. 1. Die Obelisken von Benevent, pagg. 210-218, sta in Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römischer Abteilung, Roma 1893). Assai prima, tuttavia, come ricorda Enrico Isernia, Istoria della città di Benevento dalle sue origini sino al 1875, vol. I, pagg.  342-344,Tipografia Francesco De Gennaro Benevento 1875, ne aveva fatto una traduzione il barnabita italiano Luigi Ungarelli con la sua Interpretatio obeliscorum urbis, Roma 1842.

8 Paredre, termine poco usato. Sta a indicare una divinità che si associa ad un’altra, di maggiore importanza e spesso di sesso diverso: nel caso Iside-Osiride.

9 Il nome Lucilio appare chiaramente, ma discusso è il cognomen: potrebbe trattarsi di Rufo, potrebbe esserci stato anche un errore del lapicida nel deformare Rutilio Lupus in Lucilio. L’egittologo Erman trascrive semplicemente le consonanti della scrittura geroglifica che suonano MPUPS lasciando aperta ogni interpretazione. L’italiano Ernesto Schiaparelli (nella relazione Antichità egizie scoperte entro l’abitato di Benevento, Notizie di scavi di antichità comunicate alla Regia Accademia dei Lincei, Roma 1893) propende per la dizione Lucilio Rufo riprendendo la tesi del citato padre Ungarelli.

10 Sulla base infatti appare un distico nel vago latino del Seicento: Bubalum inter plurimas urbis devastationes asservatum bellicae samnitum fortunae Monumentum per ricordare che questo toro (o bue) desidera farsi testimone della fortuna bellica dei Sanniti pur stando in mezzo alle numerose rovine della città. In proposito, Salvatore De Lucia, Passeggiate beneventane, pagg. 315-316, Tipografia D’Alessandro, Benevento 1925, reprint Gennaro Ricolo editore, Benevento 1983.

11 La tradizione racconta che per trasportare il blocco di granito dalla campagna fuori città al sito prescelto furono utilizzate tavole di legno fatte scorrere su rulli di ferro e che gli operai addetti all’operazione vennero pagati con una moneta di 15 grana al giorno (cifra assai bassa, pari a una lira del 1930 e a mille lire del dopoguerra, oggi circa un euro) con l’aggiunta di un rotolo (un chilo e 230 grammi) di pane ed una cipolla per la sosta meridiana: il De Lucia, op. cit., sostiene di averlo letto negli atti consiliari del tempo.  

12 Isernia, Istoria etc,. op. cit., edizione 1895.

13 Almerico Meomartini, Notizie di scavi di antichità comunicate alla Regia Accademia dei Lincei, Roma 1904.

14 Müller, op. cit., pag. 16. La mancanza del primo elemento però potrebbe dipendere dall’usura temporale e dalle manomissioni dell’uomo.

15 Questo obelisco segue l’attrazione egittologa dell’impero napoleonico. Fu voluto infatti nel 1806 dal governatore  francese Louis de Beer per esaltare il principe Talleyrand. Serviva ad esaltare la fontana pubblica creata dopo l’abbattimento del muro di cinta dell’abbazia di S. Sofia e fu disegnato dall’architetto beneventano Nicola Colle de Vita. Dopo la restaurazione, nel 1815, cancellata la scritta in onore di Carlo Maurizio Périgord di Talleyrand la fonte venne chiamata Chiaromonte e dedicata a Pio VII mentre sul cuspide dell’obelisco il triregno sostituiva l’aquila imperiale. Questo simbolo scomparve con l’avvento dell’unità italiana.

16 Vito Antonio Sirago, Il culto di Iside e Benevento, sta sulla rivista "Samnium", luglio-dicembre 1987.

 

 

 

  

 

 

 

    

 

 

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